Anche se se ne parla di più da qualche anno, per chi non lo sapesse partiamo col dire cos’è la vulvodinia: una patologia che colpisce l’area vulvare, caratterizzata da dolore cronico in assenza di infezioni che possano giustificarlo. Può essere circoscritto alla zona vestibolare, estendersi all’intera vulva, e arrivare a coinvolgere anche zona rettale, vescica e canale vaginale. Il dolore si manifesta in diversi modi: urente, trafittivo, gravativo, prurito, sensazione di scosse elettriche, di punture di spillo, bruciore e urgenza minzionali, gonfiore dei genitali, abrasioni e tagli in zona vulvare e perineale. Il dolore è strettamente legato a un malfunzionamento delle terminazioni nervose locali, in particolar modo dei rami estremi del nervo pudendo, che trasmettono continuamente segnali dolorosi in assenza di stimoli effettivamente dolorosi. In concomitanza, spesso si presenta anche ipertono del pavimento pelvico, risposta naturale del corpo che di fronte al dolore contrae la muscolatura cercando di proteggersi. Trattandosi di patologia cronica, non ci si può considerare mai davvero del tutto guaritə: come per la tendenza a soffrire di emicrania, per esempio, anche la tendenza a soffrire di vulvodinia resta con la persona per tutta la vita. Lo scopo è, attraverso le terapie fisiche e farmacologiche e la gestione della sintomatologia, di giungere a una remissione dei sintomi che permetta un miglioramento della qualità di vita. Spesso la vulvodinia si presenta in comorbilità con altre patologie, quali endometriosi, adenomiosi, fibromialgia, neuropatia del pudendo, spondiloartriti, neuropatia delle piccole fibre, etc, rendendone la gestione estremamente complessa.
Nei momenti più gravi, la persona non riesce a camminare, a stare seduta, a stare in piedi, a sopportare il contatto dei vestiti con i genitali, addirittura a sciacquarsi la vulva con semplice acqua tiepida, e trova sollievo solo sdraiata, senza vestiti né mutande, a gambe divaricate.
Nonostante un quadro così invalidante e così diffuso (in Italia ne soffre una persona afab su 7, e il dato è sottostimato), purtroppo va detto che è una malattia ancora misconosciuta: oltre la metà deə ginecologa non sa diagnosticarla e, della restante metà, chi sa diagnosticarla non sa poi spesso come gestirla. Questo porta a ritardi diagnostici gravi, di anni, che fanno sì che la malattia si aggravi e che sia più difficile poi migliorare. Con un impatto così forte sulla vita e con una diffusione così ampia, si può dire tranquillamente che si tratta di un problema sociale.
Ma veniamo a noi: come si concilia una malattia così con la vita sessuale?
È indubbiamente molto difficile. Nei periodi di aggravamento, quando è già un miracolo riuscire a vestirsi o a fare pipì senza piangere dal dolore (a parte il fatto che sarebbe materialmente impossibile qualsiasi attività sessuale) il sesso è proprio l’ultima cosa che viene in mente.
Parliamo quindi di come si fa quando si sta “bene”. Per alcune persone più fortunate i periodi di remissione sono pieni e completi e i sintomi spariscono permettendo una vita sessuale quasi normale sebbene si debbano comunque adottare accorgimenti volti a non scatenare una riattivazione del dolore. Per altre i sintomi restano sempre presenti, e in questo caso la vita, sessuale e non, si fa molto più difficile. La malattia deforma, piega i contorni della propria quotidianità che deve inevitabilmente adattarsi ad essa in ogni ambito e il sesso non fa eccezione. Purtroppo è spesso impossibile avere rapporti penetrativi, nonostante tutta la terapia, perché la dilatazione dei tessuti è insopportabilmente dolorosa: la sensazione è quella di carne che si strappa, ed esternamente è frequente che si creino proprio tagli e lacerazioni, e il dolore permane poi per giorni se non settimane, aumentando lo stato infiammatorio e dando spazio spesso a infezioni vere e proprie.
Quando la penetrazione è possibile, il processo frequentemente finisce per essere ahimé poco spontaneo e molto medicalizzato, tra creme da mettere prima, medicine da prendere dopo, obbligo di lavarsi e urinare subito dopo, togliendo la parte più vera e fondante del momento: la spontaneità.
È fondamentale quindi avere accanto una persona che comprenda a fondo la situazione e che rispetti i limiti e le necessità della persona malata.
Ricordiamoci però sempre che il sesso penetrativo è solo una minima parte di tutto ciò che si può fare e inventare, e che far coincidere l’intero rapporto solo con quello è riduttivo anche tra partner senza patologie. Nel momento in cui il dolore lo permette, giocare, sperimentare e cercare modi diversi di darsi piacere è un viaggio di scoperta che ci connette più profondamente ai nostri corpi e rafforza il legame tra partner.
Dal punto di vista psicologico la malattia ha un impatto molto pesante sulla salute mentale generale (facilitando depressione, ptsd, attacchi di panico, abulia, ansia generalizzata) ma anche sul modo in cui si approccia il sesso, che si finisce per associare a qualcosa di doloroso riducendo quindi la libido e generando sensi di colpa verso lə partner per averlo privato di una vita sessuale “normale”.
Se economicamente possibile (già la gestione fisica della malattia prosciuga le finanze) è molto utile un supporto psicoterapeutico che possa aiutare a reggere meglio la situazione e fornire strumenti adeguati per affrontarla.
Inoltre, non lo diremo mai abbastanza: la malattia non è una colpa. Nessunə di noi sceglierebbe mai di ammalarsi, men che meno di una patologia che mina alcuni degli aspetti fisiologici essenziali della vita umana. Se la persona partner vi fa sentire in colpa per il fatto di non riuscire a fare sesso, è una red flag gigante: scappate. Se vi lascia per lo stesso motivo, idem, e la fine della relazione è più un guadagno che una perdita.
Infine: la condivisione con altre persone malate aiuta a non sentirsi solə. Le piattaforme social ospitano molti profili di malate che fanno divulgazione e che hanno raccolto community in cui confrontarsi, scambiarsi consigli, fare rete. È inoltre presente su Ig il profilo @vulvodinianeuropatiapudendo il cui comitato scientifico ha depositato una proposta di legge per l’inserimento della patologia nei LEA e sulla cui pagina è possibile trovare numerose fonti e risorse sull’argomento.
Claude



