Marielle Francisco da Silva, detta Marielle Franco, è stata una sociologa, politica, attivista per i diritti umani ed LGBTQIA+ brasiliana.

Nasce nel 1979 in una delle favelas più povere e violente di Rio de Janeiro, Marè, e nasce portando con sé alcuni dei tratti umani che determinano l’intersezione delle discriminazioni più profonde della nostra società: è femmina, è nera, è povera, è bisex. 

Cosa significhi essere una bambina e crescere con questi presupposti in una favela è cosa impossibile da immaginare per chi non l’abbia provato. 

Le favelas sono luogo di paradossi: reali più che mai, tracimanti vita e disperazione, vengono assurdamente negate dalle autorità che si rifiutano di riconoscerne l’esistenza. Legalmente e amministrativamente queste baraccopoli non esistono, ma fattivamente restituiscono un’immagine precisa del risultato di razzismo e discriminazione sistemici. 

Qui infatti la popolazione maggioritaria è nera e quella minoritaria di origini miste (non esistono infatti favelas di persone bianche). 

Non ci sono reti elettriche, reti idriche o fognature, le condizioni igieniche sono a dir poco precarie, le case costruite con materiali scadenti e cancerogeni come l’eternit. 

Non esistono indirizzi perché il tessuto urbano non è censito, gli abitanti non hanno documenti di identità: per lo Stato queste persone sono fantasmi. Non vi è speranza di ascesa sociale, la criminalità è altissima, il traffico di droga florido.

Ovviamente anche l’accesso allo studio è pressoché nullo, tanto che solo lo 0.6% arriva all’istruzione universitaria. 

Da un punto di partenza che definire svantaggiato è eufemistico, Marielle lavora, frequenta le scuole serali e fa anche parte di una band funk, genere popolarissimo nelle favelas e fortemente identitario. Grazie all’aiuto di una Ong locale che opera per il diritto allo studio riesce a preparare e superare il test d’ingresso all’università, ma è costretta a lasciare perché incinta a soli 19 anni. Il compagno, rivelatosi fin da subito violento e abusante, esce presto di scena, mentre lei entra a far parte della nutrita schiera di ragazze madri che popolano le favelas. Tuttavia non rinuncia al suo forte desiderio di istruirsi e riesce dopo un paio d’anni a ottenere una borsa di studio che le permette di iscriversi a Sociologia. Qui si accorge subito della grave discriminazione razziale e di genere che si compie quotidianamente in aula: è l’unica persona insieme ad un’altra ad essere afrodiscendente, mentre il resto è fatto di soli maschi bianchi, proprio come, guarda un po’, tutti i professori. Marielle sperimenta per la prima volta sessismo e razzismo benevoli, ricevendo complimenti da tutti per il solo fatto di essere una donna nera che studia. Chi si stupisce che sia educata, chi si meraviglia che sia brava: ogni parola apparentemente gentile sottolinea in realtà che lei è un’eccezione a una regola che esclude la presenza di persone come lei nei luoghi di cultura e di privilegio. 

Riconosce molto bene le insidie di questa falsa benevolenza, e questa sua capacità di osservare e riconoscere le ingiustizie la porta presto a diventare un’attivista transfemminista e a coltivare un crescente interesse per la politica, tanto che al termine degli studi torna a lavorare nella stessa Ong che l’ha aiutata a studiare e decide di vivere e operare proprio nella sua favela, in cui resta a vivere per quasi tutta la vita. 

Non smette mai di formarsi, conseguendo ulteriori specializzazioni e un master in Pubblica Amministrazione nel 2014. Approfondendo i temi sociali abbraccia anche nell’aspetto fisico le sue origini afro, e in un atto di splendida coerenza smette di stirarsi i capelli, ripudiando quella sottomissione continua che le donne nere fanno per andare incontro all’estetica bianca imperante, snaturando i propri tratti iconici in cambio di una auspicata maggiore accettazione sociale.

Nella favela inoltre conosce quella che diviene sua compagna di vita, Mônica. Essere una donna lesbica qui è difficilissimo e pericoloso: l’unico rapporto concesso è quello etero e le donne lesbiche vengono sottoposte a stupri di gruppo a scopo di “conversione”. Oltre a ciò ci sono le resistenze familiari di una società fortemente cattolica e intransigente su questi temi. Dichiararsi apertamente omosessuali e vivere pubblicamente una relazione è una radicale dichiarazione politica e di ribellione alle repressive norme sociali. 

Nel 2006 entra attivamente in politica portandovi tutti i temi che le stanno a cuore. Diventa consigliera parlamentare dello Stato di Rio, coordinando poi una Commissione per i diritti umani. Nel 2016 si presenta come candidata al Comune di Rio de Janeiro con la coalizione di sinistra formata da partito socialista e comunista e viene eletta con oltre 46mila voti, a dimostrazione di come sappia cogliere e interpretare le istanze delle comunità marginalizzate. Dirige la Commissione per i diritti delle donne e per il monitoraggio del lavoro della Polizia Federale, senza nascondere minimamente le critiche contro le violenze, le violazioni dei diritti umani e le uccisioni perpetrate da quest’ultima durante gli interventi nelle favelas. 

Dopo poco più di un anno dalla sua elezione, Marielle Franco subisce un agguato e viene uccisa insieme al suo autista, crivellata di colpi nella sua auto, di ritorno da un dibattito pubblico. Risulterà che i proiettili utilizzati per assassinarla fanno parte di un lotto riservato alla polizia federale. Il giorno successivo alla sua morte migliaia di persone si riversano in strada a Rio e in tante altre città brasiliane per renderle omaggio e pretendere dal governo di far luce sulla vicenda. 

Nel 2019 sono stati arrestati due ex poliziotti sospettati di essere gli esecutori materiali e facenti parte di una nota milizia locale specializzata in omicidi su commissione, i cui capi, ex comandanti militari e delle ff.oo., risultano collegati a nientemeno che Flavio Bolsonaro, figlio dell’allora Presidente brasiliano nonché senatore; successivamente condannati, nel 2024 uno dei sicari ha firmato un accordo di collaborazione con la Giustizia per identificare i mandanti dell’omicidio che sono stati infine portati a processo. Tra di loro, anche l’ex capo della polizia di Rio. A settembre 2025 è stata chiusa la prima fase del processo davanti alla Corte Suprema, durante cui gli imputati devono rendere dichiarazioni al giudice. Si attende il proseguimento dell’iter, che dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno.

Dopo la morte, Marielle è diventata immediatamente un simbolo della lotta transfemminista e per i diritti delle minoranze oppresse: le vengono intitolate strade, piazze e scuole in diversi Paesi e il suo esempio è un faro di volontà e resistenza per l’attivismo in tutto il mondo.

C’è uno slogan, diventato famoso tra le file della sinistra radicale brasiliana, che ben rende la forza dirompente della figura di questa donna: “Luta como Marielle Franco”, ossia “Lotta come Marielle Franco”.

Claude

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *