Nata come Vivienne Isabel Swire nel 1941 in un piccolo villaggio della campagna inglese, nonostante siano gli anni della Seconda Guerra Mondiale Westwood ricorda la sua come un’infanzia felice. È figlia di un operaio tessile e di una sarta, cosa che le permette di apprendere in casa i primi rudimenti del mestiere. Come lei stessa racconta, è anche la scarsità di denaro e risorse legata al periodo bellico che impone di imparare ad arrangiarsi nel lavoro a maglia e dei tessuti: non ci sono soldi per comprare abiti, quindi si fa da sé.
Durante il liceo gli insegnanti notano e incoraggiano la sua vena artistica, aiutandola a creare il portfolio con cui verrà successivamente ammessa alla Harrow School of Art, dove studia sartoria e oreficeria, prima di abbandonare l’università per cominciare a lavorare. Contemporaneamente studia per diventare insegnante di arte e crea gioielli che vende al mercato di Portobello Road. Tra il 1962 e il ‘63, il breve matrimonio con l’uomo da cui prende il cognome Westwood, che terrà per il resto della vita, e da cui ha il primo figlio. Descriverà il matrimonio come un passaggio obbligato dalle restrizioni di costume cui la società dell’epoca sottopone le donne, ma dal quale sapeva di voler infine liberarsi.
Nel 1965 comincia a frequentare quello che per diversi anni sarà suo partner nella vita e poi soprattutto nel lavoro: Malcolm McLaren, studente d’arte, molto dotato nel disegnare vestiti, e futuro manager dei Sex Pistols. Se come compagno McLaren è emotivamente assente e poco coinvolto nella vita familiare (per dirne una, arriva con cinque giorni di ritardo in ospedale dopo la nascita del loro bambino; in seguito parlando di lui Westwood ne sottolineerà il carattere accentratore e manipolatorio), come collega di lavoro porta in dote abilità, sguardo innovativo e affinità intellettuale. Si crea un connubio che dà il via alle sperimentazioni più inattese.
Nel 1971 Vivienne apre con lui il suo primo negozio di abiti, in King’s Road a Londra: il negozio cambierà nome spessissimo, a ogni nuova collezione, passando dall’iniziale Let it Rock per Too Fast to Live Too Young to Die per poi approdare a SEX, Seditionaries e infine World’s End, nome che conserva ancora oggi.
Inizialmente vendono abbigliamento retrò nello stile Teddy Boy che sta avendo un revival nei primi Settanta, con chiodi di pelle nera e affini, ma presto questo piccolo laboratorio si spinge oltre e diventa una fucina di idee in cui il concetto stesso di abito viene stravolto. Mentre le stoffe tradizionali vengono impiegate con fantasia creativa, materiali e oggetti che mai avevano fatto parte del mondo della sartoria vengono presi in prestito dai più disparati contesti e riutilizzati in modo rivoluzionario. Ecco che fanno la loro comparsa borchie, catene, cinghie di pelle, latex, scritte sovversive su T-shirt strappate, maglioni bucati, accessori pornografici e fetish, addirittura ossi di pollo candeggiati e cuciti sulle magliette a formare delle scritte, il tutto unito a tessuti classici come il tartan scozzese, tagliato nelle fogge più strane e tenuto insieme da spille da balia e cerniere. Sono gli ingredienti base di quella che oggi individuiamo immediatamente come estetica punk. Ed è alla band punk per antonomasia, i Sex Pistols, che negli anni ‘70 Westwood cuce gli abiti e cura l’immagine, mentre McLaren lavora come loro manager. Il loro aspetto diventa un tutt’uno col grido di ribellione delle loro canzoni, perfetti interpreti delle istanze di rivolta del movimento. Ma non sono i soli: tra i clienti del negozio figurano Iggy Pop, Debbie Harry, Alice Cooper, Billy Idol.
Verso la fine del decennio, quando ormai l’onda punk sta ripiegando su sé stessa per finire con l’esaurirsi, la stilista è pronta per nuove ricerche: comincia ad attingere da pittura e arte così come da capi di vestiario dei secoli precedenti, introducendo nel suo linguaggio visivo bluse drappeggiate, corsetti, volant, sottovesti e lacci tipici dell’800, unendoli a elementi della sua contemporaneità come il make-up marcato della glam disco e i capelli cotonati, con risultati stridenti e tuttavia meravigliosamente suggestivi. Ancora una volta le band coeve, come i Duran Duran, i Depeche Mode o gli Spandau Ballet, pescano a piene mani dalle sue collezioni indossandole durante le loro esibizioni.
La prima sfilata risale al 1981 con la dirompente collezione Pirate: prendendo spunto da un’incisione raffigurante un pirata che le è capitato di osservare, Vivienne elabora una serie di vestiti che ripropongono in chiave moderna l’abbigliamento piratesco e rimandano a quello stile di vita spericolato e contro ogni regola. Dopo questo esordio, è la prima inglese a essere inserita nella kermesse parigina della moda. Si conclude intanto il rapporto umano e lavorativo con McLaren, da cui si affranca una volta presa piena consapevolezza delle proprie doti e del fatto che quello era in tutto e per tutto un rapporto abusante.
Viene apprezzata proprio per la rottura che opera con l’eleganza classica dell’haute couture francese. La sua è un’estetica del disordine: i tagli asimmetrici, i tessuti grezzi, gli strappi, le forme apparentemente sgradevoli sono tutti elementi che oggi ritroviamo nella cosiddetta moda decostruita.
Arrivano le collezioni Savage, di ispirazione tribale, Nostalgia of Mud, ispirata alle donne peruviane; dà scandalo presentando in passerella slip e reggiseni usati sopra gli abiti, ma le sue provocazioni non sono e non saranno mai fini a sé stesse: le sue scelte visive veicolano messaggi espliciti, prima contro il conformismo borghese dell’upper class attraverso nudità e dettagli volutamente disturbanti, poi più avanti contro guerre, disuguaglianze, per l’ambiente e i diritti. Per lei modelle e modelli in passerella sono a tutti gli effetti mezzi di manifestazione e rivendicazione e i suoi abiti non perseguono necessariamente il bello ma la stimolazione del pensiero critico.
Il mondo della moda, ormai, la acclama: le sue sfilate sono veri e propri spettacoli che a ogni appuntamento portano in scena novità assolute, il pubblico la adora, diverse top model addirittura sfilano gratis per lei. Cominciano a fioccare riconoscimenti e premi: dall’essere inserita nella top six delle migliori figure stiliste al mondo, alla conquista di diversi premi come miglior designer dell’anno, al titolo di OBE (Officer of the British Empire) conferitole dalla Regina Elisabetta nel 1992 (alla cui cerimonia si presenta senza slip, accertandosi di far sapientemente volteggiare la gonna a favor di giornalisti in modo che il tutto venga immortalato: del resto, è un’anarchica).
Diventa docente all’Accademia delle Arti di Vienna, dove incontra lo studente Andreas Kronthaler, che poi diventa suo compagno e braccio destro per il resto della vita come direttore creativo della griffe.
Con la collezione Anglomania presenta di nuovo commistioni di antico e moderno riversate in un originalissimo streetwear, ma è capace anche di portare la sua visione fuori dal contesto strettamente fashion, collaborando per esempio con Keith Haring e a seguire con Watch per una collezione di orologi dallo stile voluttuosamente barocco. Il suo stesso logo, il famoso Orb, è rappresentazione perfetta della sua cifra stilistica in bilico tra passato e presente: il globo sormontato dalla croce, simbolo della millenaria monarchia inglese, viene qui circondato dagli anelli di Saturno, a significare lo scorrere inesorabile del tempo e il fatto che il nuovo affonda sempre le radici nell’antico.
Se finora ha usato gli abiti come strumento per lanciare messaggi sociali, è dagli inizi degli anni Duemila che Westwood comincia a fare vero e proprio attivismo attraverso la moda.
Nel 2005 si schiera in favore del movimento per i diritti civili creando t-shirt che portano slogan a suo sostegno; le collezioni di quel periodo portano nomi come Propaganda, poi Active Resistance, e ancora Active Resistance to Propaganda, e contengono forti contestazioni nei confronti dei governi Blair e Bush. Si schiera apertamente a favore del giornalista e fondatore di Wikileaks Julian Assange nella lunga e tormentosa vicenda che lo vede coinvolto. Nel frattempo, nel 2006 riceve un ulteriore grado dell’Ordine dell’Impero Britannico, diventando Dame Commander.
Nel 2007 è tra le prime a bandire le pellicce dalle sue creazioni, sostituendole con materiali vegani. Comincia a impegnarsi per sensibilizzare sul climate change e sulla necessità di politiche a salvaguardia dell’ambiente (piccolo inciso, nel frattempo non smette certo di essere icona di stile e firma l’abito da sposa indossato da Carrie Bradshaw nel film di Sex and the City del 2008).
Dagli anni Dieci del Duemila il suo impegno sociale e ambientale aumenta esponenzialmente: nel 2012 fonda la Climate Revolution, dal nome autoesplicativo, che si batte per portare i grandi brand a ridurre l’uso di combustibili fossili, contro la deleteria pratica del fracking e a favore del disarmo nucleare. Nel 2014 dichiara esplicitamente, durante un’intervista, di avere come interesse primario non più la moda ma l’attivismo contro il collasso climatico.
Protesta fortemente contro la Brexit. Presenta la collezione Unisex, celebrazione del look androgino e dell’inclusività nell’abbigliamento, mescolando capi convenzionalmente “maschili” e “femminili” in un inno alla libertà d’espressione.
Nel 2016 si scaglia contro il consumismo invitando alla morigeratezza negli acquisti e a comprare vestiti che durino nel tempo: “Buy less, buy better, make it last” diventa il suo adagio. Praticamente una bestemmia in un mondo, quello della moda, tempio del consumismo, fatto da sempre di collezioni che si succedono senza sosta e a ritmo sempre più forsennato dall’avvento del fast fashion. Tale sensibilità si concretizza poi nella ricerca di un punto d’incontro tra economia e sostenibilità: in questo senso partecipa anche al progetto Letters to Earth, una raccolta di scritti di cento tra personalità dell’attivismo, della scienza, della cultura, della politica, che riflettono sul global warming e cercano di trovare risposte e spunti di azione.
Nel 2019 fonda la Vivienne Foundation, la cui attività si fonda su quattro punti cardinali: azione contro il cambiamento climatico, contro le guerre, contro il capitalismo, e a favore dei diritti umani.
Vivienne Westwood muore nel 2022, lasciandoci un’eredità di inestimabile valore che attraversa epoche, stili, idee, valori, lotte sociali e ambientali, tutto tenuto insieme da un genio creativo irripetibile. Di sé ha detto:
«Per me la moda è una scusa per parlare di politica».
«Essere una stilista mi dà una voce, il che è molto importante».
«Non ho mai pensato di essere una designer. Mi sono semplicemente considerata una combattente per la libertà».
C.
G.





