“Brava, Giovanna, brava”
Erano i primi anni 2000 quando iniziò a spopolare questa pubblicità: un uomo osserva la moglie, elegante e ingioiellata, che, aiutata da una procace “tuttofare” di nome Giovanna, è intenta a riverniciare la cancellata del giardino. 

Partono complimenti e ammiccamenti a tutto spiano.

Non serve spiegare che non sono le doti di pittrice della cara Giovanna ad essere prese in considerazione in questo siparietto.

 

Ora, potremmo anche sorvolare su questo basso sessismo, se almeno ci fosse dietro un qualche umorismo, se ci fosse una citazione o un riferimento di qualche tipo, se ci fosse un qualunque senso. Invece no, la scenetta non ha alcun senso, è semplice mancanza di idee, tradotta in mero patriarcato, mascherata da trovata geniale.
Non vogliamo fare polemica sterile: qui non c’è black humor, non c’è irriverenza, non c’è provocazione. Ci sono solo una donna elegante e una ragazza sexy in un contesto fuori luogo: la banalità per eccellenza.

Perché, lo sappiamo, usare una bella donna per vendere è una storia antica. E come sono le donne della pubblicità? Tendenzialmente di due tipi: c’è la moglie perbene, che fa le faccende di casa, ama gli elettrodomestici e i gioielli, si prende cura della famiglia ed è sempre perfetta, oppure c’è la ragazza sexy, magari un po’ cattivella, sicuramente ammiccante, anche lei sempre perfetta e anche lei ama i gioielli, ma forse più la biancheria.


Negli anni ‘20, per vendere un aspirapolvere lo si proponeva come regalo di Natale ideale per la propria donna (certo, cosa potrebbe volere di più?)
Negli anni ‘30 alle donne vengono consigliati principalmente detersivi e prodotti per la cucina.
Negli anni ‘40 e ‘50, mentre pian piano la televisione inizia a entrare in tutte le case, prosegue la propaganda della casalinga perfetta.
Ma non ci si aspetta nulla di diverso: la pubblicità rispecchia la società in cui viene creata e che va a rappresentare.

Negli anni ‘60 si fa attenzione alla linea: la più famosa bevanda analcolica (ma incredibilmente zuccherina) di sempre viene sponsorizzata da una bella attrice bionda che ne decanta le proprietà dimagranti -sigh-, ricordandoci sempre che la cosa più importante è il nostro girovita.
Se comunque la donna affascinante fa il suo ingresso diverse volte, prevale sempre la madre-moglie e tutto procede senza troppi scossoni fino agli anni ‘80, quando diventa sempre più evidente come per vendere QUALUNQUE COSA un bel corpo femminile sia la strada più efficace.

Potremmo citare centinaia e centinaia di spot ma ci limitiamo a descrivervi un cartellone visto pochi giorni fa per strada: si tratta della pubblicità di un’agenzia immobiliare.
In primissimo piano una bella donna è girata di spalle con un vestito scollato fino al fondoschiena.
L’agente immobiliare -uomo- su sfondo nero anonimo ammicca e la invita a vendere casa [non ricordo precisamente lo scambio, non è particolarmente brillante]. E niente, la pubblicità finisce lì, nel nulla cosmico.

Insomma, cosa vogliamo dire?
Gli stereotipi verranno sempre utilizzati perché la pubblicità si riferisce ad ampi target e non alle singole persone, quindi deve avere un linguaggio comune. “Quell* brav*”, però, provano a puntare a un’elevazione del target di riferimento, dando spunti positivi e di miglioramento, non di banalità e ignoranza.
Il sesso sarà sempre utilizzato, perché è un linguaggio che arriva facilmente a molte persone. “Quell* brav*”, però, lo usano nel giusto contesto, che sia classico o voglia provocare, senza oggettificare, senza sminuire e senza condividere messaggi denigratori.

Perché il fatto è questo: la pubblicità è lo specchio della società e fare pubblicità non è un lavoro semplice.
Non sarebbe meglio che a farlo fossero “Quell* brav*”?


Pepita

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